La più ampia indagine sull’Eucarestia che sia stata scritta in epoca antica e medievale

E’ stata edita dalla Commissione Scotista l’edizione critica del vol. XII dell’Opera omnia del B. Giovanni Duns Scoto: esso fa parte del libro IV della Ordinatio, l’ultima opera di Scoto, in cui egli ha raccolto e rielaborato in redazione definitiva le lezioni tenute precedentemente a Cambridge, Oxford e Parigi. Il libro IV contiene la dottrina sui sacramenti e sui novissimi, cioè sulle ultime realtà della nostra esistenza e della nostra fede.

In questo vol. XII viene ora pubblicato il trattato sull’Eucaristia, e comprende le distinzioni 8-13. Si tratta della più ampia indagine sull’Eucaristia che sia stata scritta nell’epoca antica e medievale. Né Bonaventura, né Tommaso d’Aquino, né alcun altro dottore dell’epoca all’infuori di Scoto si è addentrato così ampiamente nell’argomento, visto sotto il profilo teologico, filosofico, liturgico, giuridico e ascetico.

Scoto, in questa trattazione, segue il suo principio fondamentale, espresso nell’opuscolo De primo principio (c.3), là dove così prega: “Signore Dio nostro, che ti sei proclamato il Primo e l’ultimo (Apc 1,8), insegna al tuo servo il modo di dimostrare con la ragione ciò che ritiene certissimo per fede”. Duns Scoto cioè vuole comprendere e far comprendere, per quanto è Possibile ad umana Creatura, le verità della fede, in modo che la mente umana non trovi difficoltà insormontabili per aderire alle verità di Dio.

Tra queste Verità, 1’Eucaristia è certamente una delle più difficili a comprendere: la trasformazione del pane e del vino in corpo e sangue di Cristo supera le capacità dell’intelletto umano. Ecco perché Duns Scoto, in questo trattato ha voluto sviscerare in profondità questa trasformazione, ricorrendo alla filosofia aristotelica della materia e della forma, della sostanza e dell’accidente indagando inoltre sulla possibilità o meno che un corpo possa essere contemporaneamente in più luoghi, sul passaggio di un essere da una sostanza all’altra, sull’azione necessaria per realizzare tale passaggio, sulla possibilità che gli accidenti possano sussistere e agire senza la sostanza, ecc.

La trattazione quindi, più che soffermarsi sulle verità della fede, così come emergono dalle parole di Gesù, dalla testimonianza degli Apostoli e degli evangelisti e dalla prassi apostolica, subapostolica ed ecclesiale, verità che Duns Scoto, come ogni altro credente accoglie senza riserve e con piena adesione, – la trattazione scotista, dico, si estende in modo assai ampio sull’indagine filosofica: come cioè si può spiegare, capire e accogliere con la ragione umana – verità così difficili e fuori dall’esperienza dell’uomo.

Ecco allora il ricorso frequentissimo alla filosofia, particolarmente quella aristotelica: in nessun altro volume Aristotele è citato con tanta frequenza come in questo. Si tratta di oltre 150 citazioni dirette, per non parlare anche di quelle indirette o sottaciute, ma pur presenti nell’esposizione.

E’ frequente anche l’esame delle opinioni degli autori medievali, specialmente di S. Tommaso, Enrico di Gand, Egidio Romano, Goffredo di Fontaines, ecc.
Spessissimo sono citata anche i giuristi, per tutto quello che riguarda le condizioni e la prassi da seguire nella celebrazione e nella recezione dell’Eucaristia.

Le distinzioni 8-13

Le tappe che Duns Scoto segue nell’esposizione, si possono così delineare:

Nella dist. 8 in primo luogo presenta e spiega la definizione dell’Eucaristia e l’eccellenza predominante di questo sacramento rispetto agli altri.

Passa poi a parlare della sua duplice forma consacratoria, riguardante cioè il pane e il vino, -distinguendo le parole che nella forma sono essenziali, da quelle che non sono tali, ma solo completive, ed evidenziando il loro valore terminale. Si tratta, come dice Scoto, di una discussione “subtilis et logica” (d. 8 n. 141), sebbene per il teologo sia sufficiente ritenere che la forma è lo strumento istituito da Dio, il quale lo assiste perché al termine della prolazione abbia la sua piena efficacia e verità: Dio cioè opera perché la forma all’atto del suo pronunciamento finale abbia la verità che esprime.

Segue l’esposizione delle condizioni e disposizioni necessarie per celebrare e ricevere degnamente e fruttuosamente l’Eucaristia.

Nella dist. 9 Duns Scoto spiega la gravità del peccato che commette chi celebra e riceve l’Eucaristia indegnamente, cioè in peccato mortale.

Segue la dist. 10, amplissima, suddivisa in tre parti, in cui Duns Scoto esamina la verità dell’Eucaristia, cercando di spiegare – per quanto è possibile – che essa non contrasta con la ragione umana ma è in qualche modo comprensibile da essa: su alcuni principi filosofici Scoto non si sofferma più di tanto, in quanto si tratterebbe di una discussione troppo lunga: “quia nimia esset prolixitas” (d. l0 n. 25). Comunque cerca di illustrare come Cristo possa essere presente sull’altare senza movimento locale, come possa essere ‘quanto’, cioè avere quantità, senza il modo quantitativo, come ci possa essere presenza locale contemporanea in più luoghi, in cielo e in terra; con quali parti del suo essere e con quali azioni immanenti Cristo sia presente nell’Eucaristia; inoltre, se Cristo nell’Eucaristia abbia movimento corporale; se qualche intelletto creato o qualche senso possa percepire l’esistenza di Cristo nell’Eucaristia.

La dist. 11 è tutta dedicata al problema della transustanziazione: alla sua possibilità, alla sua essenza, ai problemi connessi (come l’annihilamento, la corruzione o la permanenza del pane e del vino), come possa esserci transustanziazione di un corpo in un altro pre-esistente, o se piuttosto si debba parlare di transustanziazione “adductiva”, in quanto “per ipsam adducitur terminus ut sit hic» (d. 11 n. 166-173); se si debba usare pane azzimo o fermentato, vino d’uva o altro, ecc.

Nella dist. 12, lunghissima, il discorso è concentrato sugli accidenti nell’ Eucaristia.

La dist. 13 è dedicata all’azione divina nella confezione dell’Eucaristia: in essa cioè solo Dio è l’agente principale, mentre come causa strumentale subentra il ministro o sacerdote, e ciò per disposizione divina.

La spiegazione che Scoto offre della transustanziazione, mediante la quale cioè il corpo di Cristo Risorto, esistente nel Cielo, non riceve nel sacramento dell’Eucaristia un nuovo “esse simpliciter”, ma un nuovo “esse hic”, che sostituisce l’essere-qui della sostanza del pane e del vino, – tale spiegazione, dico, dopo il Concilio di Trento (che ha convalidato e riaffermato come vera spiegazione dell’Eucaristia il concetto e il termine di “transustanziazione”), viene ripresa, ampiamente illustrata e difesa da molti teologi post-tridentini, come i gesuiti S. Roberto Bellarmino, Vàsquez, Gregorio di Valencia, ecc.

E’ chiaro che si tratta di tentativi di spiegazione, che non potranno però mai pienamente spiegare il mistero della presenza reale di Cristo nell’Eucaristia.

Ricostruzione critica del testo

Il testo di Scoto è stato da noi ricostruito secondo le norme di critica testuale ormai collaudate nei nostri volumi precedenti e universalmente condivise e apprezzate dagli studiosi. Molti passi, nelle edizioni dei secoli passati, erano incomprensibili, a causa degli errori di lettura frequentissimi, e delle frequenti omissioni di righe intere da parte degli amanuensi.

L’individuazione e l’indicazione delle fonti, esplicite ed implicite, citate da Scoto, le frequenti e indispensabili illustrazioni del testo da noi operate nelle note, la divisione delle materie e dei singoli argomenti da noi accuratamente evidenziate con titoli, capoversi, numerazione progressiva, accurata interpunzione ecc., renderanno agli studiosi più facile la lettura, la comprensione e l’assimilazione del pensiero di Scoto.

Ed è questo lo scopo e il traguardo verso cui tendono le fatiche e il quotidiano impegno dei soci della Commissione Scotista, soci che sono attualmente in numero di 6, grazie al recente arrivo del P. Stefano Recchia che, dopo il suo servizio nella Curia Generale, ha accettato di far parte della nostra équipe.

Mi piace concludere con le illuminate parole di Paolo VI, nella sua Lettera Apostolica “Alma parens” del 14 luglio 1966: “Accanto alla cattedrale maestosa di S. Tommaso d’Aquino, fra altre c’è quella degna d’onore – sia pure dissimile per mole e struttura – che elevò al cielo su ferme, basi e con arditi pinnacoli l’ardente speculazione di Giovanni Duns Scoto”. Sintetizzando e approfondendo le ricerche degli autori precedenti a lui, “egli della Scuola francescana divenne il rappresentante più qualificato”.

“Il Dottore Sottile, ricavando la sua teodicea da due principi scritturali, relativi Dio: ‘Io sono colui che sono’, e “Dio è amore’, in maniera mirabile e quanto mai suasiva sviluppa la dottrina intorno a Colui che è ‘verità infinita e bontà infinita’, ‘il primo efficiente’, ‘il Primo che è fine di ogni cosa’, ‘il Primo in senso assoluto, per eminenza’, ‘l’oceano d’ogni perfezione’ e ‘l’amore per essenza'”.

* [Presentazione di P. Barnaba Hechich]