1. Alle origini degli scritti di Scoto

A differenza di quanto avvenne per S. Tommaso, il cui insegnamento fu assai presto imposto d’autorità all’Ordine Domenicano da parte dei Capitoli generali (severissimo è il decreto del Capitolo di Parigi del 1286), per Duns Scoto non ci fu per lungo tempo bisogno di nessuna imposizione da parte dell’Ordine Francescano. Egli infatti da solo, ancor vivo, suscitò con il suo pensiero un tale interesse, che i discepoli si presero grande cura di annotare, o «reportare», ciò che lui andava spiegando a scuola, per poi diffondere tali appunti, o «reportationes», tra i condiscepoli e gli estimatori.
Quando poi, a causa della morte prematura, Scoto non ebbe la possibilità di ultimare e rendere pubblici i suoi scritti, i discepoli li copiarono così come erano stati da lui lasciati, oppure — per eliminare le lacune — li rimaneggiarono e li completarono di loro iniziativa.
Il risultato fu disastroso: si ebbero ben presto innumerevoli esemplari di uno stesso testo assai discordanti fra loro, pieni di correzioni (= corruzioni), zeppi di glosse e di interpolazioni di ogni genere. Doveva essere questa una situazione abbastanza comune a quel tempo, se lo stesso Giovanni Gersone (1363-1429), nel suo De laude scriptorum, lamentava che i libri degli autori antichi, diffusi ai suoi tempi, erano così pieni di errori, che sarebbe stato meglio non metterli in circolazione affatto: «consultius fuisset nulla, quam talia ministrari».
Quando dopo l’invenzione della stampa, si cominciò a pubblicare tipograficamente le opere di Scoto, il caos non migliorò, perché ci si limitava ad assumere i testi del Maestro per lo più da un solo codice, apportandovi correzioni arbitrarie o, al più, servendosi di qualche altro codice.
Nel frattempo cresceva nell’Ordine francescano l’interesse per Duns Scoto, che ben presto e spontaneamente venne considerato come il capo della Scuola francescana (o, come si esprime Paolo VI nella lettera Alma Parens, il «perfezionatore» del Serafico Dottore S. Bonaventura), colui che con la sua speculazione filosofico-teologica aveva dato un supporto dottrinale alle serafiche e mistiche intuizioni di S. Francesco. Cominciarono così ad essere emanate anche tra i Francescani disposizioni, perché nelle scuole si insegnasse — seppur non in modo esclusivo — il Dottore Sottile, fino ad arrivare al Capitolo generale di Toledo del 1634, che ordinava tassativamente che nelle scuole dell’Ordine si seguisse la dottrina di Scoto, e — per facilitarne lo studio — disponeva di pubblicarne le opere.

Dell’edizione fu incaricato Luca Wadding (Waterford 1588 – Roma 1657) che con alcuni collaboratori effettivamente pubblicò le opere di Scoto a Lione nel 1639. Esse furono ristampate a Parigi negli anni 1891-1895 da Ludovico Vivès. È un’edizione quasi completa, ma assai imperfetta: vi si riscontrano innumerevoli errori testuali, interpolazioni, manomissioni, contaminazioni, con in più molte opere spurie falsamente attribuite a Scoto.

2. Il collegio di Quaracchi

Nel fervore degli studi e delle ricerche sui maestri del passato, che si sviluppò nella seconda metà del secolo scorso, mentre a Quaracchi un’équipe di studiosi francescani attendeva alla edizione critica delle Opere di S. Bonaventura, voluta espressamente dai superiori come frutto del sesto centenario della morte del Santo (1874), mentre i Domenicani, per volere di Leone XIII intraprendevano l’edizione critica delle Opere di S. Tommaso, ben presto si avvertì l’esigenza di allargare il campo delle ricerche anche ad altri autori. A Quaracchi, oltre a S. Bonaventura, molte opere di ordine storico, biografico, agiografia, dottrinale, giuridico ecc. furono edite: o separatamente, o in collane, o nella rivista Archivum Franciscanum Historicum.


Non si affrontò allora il problema delle Opere di Duns Scoto, anche perché nel frattempo a Parigi, come abbiamo accennato, era stata ristampata in in 26 volumi l’edizione antica del Wadding. A frenare, inoltre, una eventuale spinta in tal senso, poteva essere stata la stessa enciclica Aeterni Patris di Leone XIII (1878), la quale mentre imponeva nelle scuole lo studio di S. Tommaso e riconosceva che «si deve accogliere con animo aperto e grato tutto ciò che sapientemente è stato detto e che è stato scoperto ed escogitato utilmente da chicchessia», ammoniva però severamente: «se qualche cosa fu cercata dagli Scolastici con eccessiva sottigliezza o trasmessa con poca ponderazione … non intendiamo che sia proposta all’età presente, perché la segua ».
Pur non essendo provato, non era difficile immaginare che con le parole «eccessiva sottigliezza» il Papa avesse voluto mettere in guardia anche dalle dottrine di Scoto, che da tutti era conosciuto proprio come il «Dottor Sottile».
Ciò nonostante, tanto nell’Ordine quanto al di fuori di esso, si avvertì ben presto l’esigenza di fornire agli studiosi una vera e sicura edizione critica delle Opere di Scoto.
Gli studi in questo campo si svilupparono un po’ dappertutto, ma specialmente nell’ambito del Collegio di Quaracchi.
Scoto non poteva più essere letto e studiato in edizioni imperfette, insicure, spurie; era ormai indilazionabile la creazione di un organismo che curasse l’edizione critica delle Opere, un’edizione cioè che desse un elenco completo delle Opere autentiche e il testo genuino di Scoto, criticamente restituito.

3. La questione degli scritti

A questo primo motivo, che spinse l’Ordine Francescano ad iniziare la grande impresa dell’edizione critica dell’Opera omnia del suo Dottore e Maestro, ben presto se ne aggiunse un altro, che forse divenne per qualche tempo preponderante: si trattava della situazione di stallo in cui si era venuta a trovare la Causa per la beatificazione di Scoto, a motivo delle «difficoltà» che erano state presentate alla Congregazione dei Riti in merito agli scritti e alla dottrina di Scoto.
Nel processo del 1908, la Congregazione aveva fatto presente che «si doveva soprassedere, allo scopo di premunirsi del cosiddetto decreto di approvazione degli scritti, condizione previa indispensabile per qualunque avanzamento della Causa». La questione degli scritti, è detto ancora, «ha costituito il maggior obice al proseguimento della Causa». E ancora: «Il maggiore ostacolo alla soluzione positiva della Causa di Duns Scoto era quello degli scritti».
Furono pertanto nominati, nel 1916, due teologi Censori, con l’incarico di esaminare accuratamente tutti gli scritti di Duns Scoto, contenuti nei 26 volumi della edizione del Vivès. I loro «giudizi» pervennero rispettivamente nel 1917 e nel 1918.
Il primo Censore si augurava che i rilievi da lui fatti non fossero tali da ostacolare l’iter della Causa, mentre il secondo Censore concludeva affermando che non vi era nulla negli scritti di Scoto che potesse ostacolare il procedere della Causa di beatificazione.
Le loro conclusioni non furono giudicate soddisfacenti, per cui il 7 maggio 1918 la Congregazione chiese agli Attori della Causa di vagliare attentamente le osservazioni dei due Censori. L’esame fu fatto dall’Avvocato Giovanni Romagnoli, il quale dopo aver studiato e diluito i rilievi mossi, esprimeva anche lui il voto che gli «amplissimi Patres» della Congregazione confermassero e dichiarassero che non vi fosse nulla che ostacolasse il procedere oltre.
Tutto questo materiale fu pubblicato nel volume edito dalla Congregazione dei Riti, Positio super scriptis, Roma 1920.
Purtroppo la Causa non procedette. Il 27 luglio 1920, furono mosse altre obiezioni, a presentare le quali si prese cura un terzo Censore, il Card. Andrea Frühwirth. Egli si avvalse di numerosi collaboratori, e già il 28 agosto 1923 poteva presentare alla Congregazione il frutto delle sue fatiche; esso fu pubblicato, in 401 pagine a stampa, il 10 aprile 1925.
Le difficoltà da lui elaborate furono «il punto di partenza per uno studio approfondito del problema».

Le osservazioni del terzo Censore erano principalmente due:
– non c’è un catalogo delle opere autentiche di Scoto
– la sua dottrina, essendo in molti punti diversa dalla dottrina di S. Tommaso prescritta dalla Chiesa nelle scuole cattoliche, è contraria alla fede e ai costumi.

4. L’opera della Commissione Scotista

Di fronte a questa situazione, già il 6 novembre 1923, il Ministro generale dei Frati Minori, Padre Klumper, su richiesta di molti, aveva convocato a Roma il Padre Efrem Longpré, grande studioso di medievistica francescana, per valutare con lui la possibilità di iniziare l’edizione critica delle opere di Scoto. Dopo varie deliberazioni, il Klumper incaricò Longpré di impegnarsi da allora in poi nello studio di Scoto e dei codici delle sue opere.
Dopo il Capitolo generale di Assisi del 1927, che decise l’edizione critica delle Opere di Scoto, il nuovo Ministro generale Padre Marrani, nel mese di agosto convocò nuovamente il Padre Longpré, cui ordinò di mettere in esecuzione il decreto del Capitolo, fondando all’uopo una speciale Sezione Scotista a Quaracchi.
Solo un anno più tardi, il domenicano Padre Martin lamentava ancora: «Il nome di Scoto impone rispetto agli storici della sua dottrina, qualunque sia la scuola teologica a cui essi appartengano. Duns Scoto è un grande signore nel campo del pensiero. Egli si ricollega ad una tradizione illustre; a sua volta, ne diventa il capo-scuola, e la teoria dei suoi discepoli rimane risolutamente legata alla sua dottrina. Tuttavia, a questo riguardo sorge un sentimento di pietà, e persino di tristezza, al vedere lo stato in cui troviamo — a sei secoli di distanza — l’eredità dottrinale del Maestro…; questa preziosa eredità… nessuna edizione ce la dà nella sua integrità e nella sua assoluta purezza».
L’impegno dell’Ordine, concreto ed operativo, che comportava personale e risorse in misura adeguata, mirava a fronteggiare il maggiore degli ostacoli alla soluzione positiva della Causa.

5. P. Karlo Balić

Mentre a Quaracchi la Sezione cominciava i suoi lavori, un giovane frate, P. Karlo Balić, si stava affermando presso l’Università di Lovanio nel campo degli studi scotisti e, più precisamente, nel campo della critica testuale scotista.
Nel decennio che seguì, sia Longpré che Balić, camminando ognuno per la sua strada, approfondirono i loro studi, distaccandosi vistosamente l’uno dall’altro nelle loro intuizioni e conclusioni.
Il confronto fra i due si rese necessario e inevitabile. Esso avvenne a Roma, per iniziativa del Governo centrale dell’Ordine, nella sede della Curia generale, in presenza di una speciale commissione di esperti, nei giorni 11-12 febbraio 1938. Le tesi dei due scotisti erano molto distanti:

  • SECONDO BALIĆ
    • È impossibile datare tutte le Opere; quindi bisogna seguire l’ordine sistematico, iniziando dalle Opere più importanti.
    • Occorre un lavoro di équipe, in modo che ogni socio abbia la possibilità di conoscere e valutare i singoli problemi e in modo che il lavoro di ogni socio possa essere esaminato dagli altri.
    • Le redazioni diverse rappresentano in realtà delle normali varianti di un unico testo, che perciò deve essere restituito così come è uscito dalla penna dell’autore, tenendo presenti le norme della critica testuale, già ben note nel campo dei dotti, ed eventualmente integrate da norme specifiche per Scoto.
    • È possibile fare l’edizione di un unico testo dell’Ordinatio, quello di Scoto, ricostruendolo con l’esame e il confronto delle varianti presenti nelle singole redazioni.
  • SECONDO LONGPRÉ
    • Nell’edizione bisogna seguire l’ordine cronologico degli scritti.
    • Il lavoro va portato avanti in modo personale, affidando ai collaboratori singole parti dell’Opera, senza che ne abbiano una visione d’insieme.
    • Bisogna procedere ad edizioni separate per ogni singola redazione dello stesso testo.
    • In particolare, per la Ordinatio (l’ultima opera di Scoto), si devono pubblicare separatamente tutte le redazioni esistenti.

Prevalse — come è ovvio — l’impostazione di Balić, che perciò, il 21 aprile 1938, venne nominato dalla Curia generale Presidente della équipe che doveva curare l’edizione, équipe che da Quaracchi fu trasferita a Roma e prese il nome di «Commissio omnibus Operibus Ioannis Duns Scoti ad fidem codicum edendis». Longpré, è umano, rimase molto amareggiato di quella decisione.
A proposito dell’ordine cronologico da seguire o meno nell’edizione, il P. Cicchitto aveva scritto già nel 1934: «Non pare desiderabile né opportuno che il pubblico degli studiosi venga messo a contatto con il Dottore Mariano attraverso un lento stillicidio di opere secondarie prima di metterlo di fronte all’opera monumentale, l’Opus Oxoniense [cioè l’Ordinatio], che accoglie il pensiero definitivo e maturo di Scoto».
Fu ben presto (6 giugno 1938) trasportato a Roma tutto il materiale che già era stato approntato a Quaracchi per l’edizione: libri, microfilms, fotografie di manoscritti, ecc., salvo gli studi personali di Longpré.
La Commissione, integrata da nuovi collaboratori interni ed esterni, si accinse con alacrità al lavoro. Dopo aver completato il rinvenimento e la lista dei manoscritti delle opere di Scoto, si passò a studiarli, confrontarli, classificarli, trascriverli. Nello stesso tempo fu perfezionato il metodo da seguire, già sperimentato dal P. Balić nel volume Ioannis Duns Scoti Theologiae Marianae elementa, Sebenico 1933, e sottoposto al vaglio di insigni medievalisti di tutto il mondo.
La Curia generale premeva perché si cominciassero a stampare i volumi. La Commissione voleva iniziare con l’Ordinatio, l’opera più completa e definitiva di Scoto. Essendo le difficoltà da superare ancora molto grosse, si pensò di pubblicare per prima la Lectura. Venne la guerra, e grazie a Dio la stampa fu sospesa, perché neanche per la Lectura, pur conservata in soli tre codici, gli studi erano maturi, trattandosi tra l’altro di un’opera ancora inedita e sconosciuta. Col cambio del Superiore generale, le cose mutarono: si ritornò all’Ordinatio, i cui primi due volumi videro la luce nel 1950, insieme ad una poderosa Disquisizione storico-critica.
Si dava in tal modo risposta alla prima delle due domande del terzo Censore: l’elenco esatto degli scritti autentici di Scoto. Nella Disquisitio tale elenco c’era!

6. La questione della dottrina

Per quanto concerne la dottrina, man mano che i volumi venivano alla luce, sempre più si delineava la ortodossia dell’insegnamento di Scoto, così come appare dal suo testo genuino, e non dalla corruzione perpetrata dagli amanuensi e da discepoli sprovveduti.
Contestualmente la Commissione si accinse anche a dare una risposta esplicita e particolareggiata alle singole «Animadversiones» del terzo Censore.
Molte obiezioni caddero facilmente, in quanto tratte da opere attribuite a Scoto, ma che di Scoto sono risultate non essere.
Altre obiezioni si volatilizzarono rapidamente quando si ritornò ad un principio fondamentale da tener presente in questi casi. Il grosso equivoco del terzo Censore era stato quello di aver preso come metro per l’esame della ortodossia di Scoto non la Scrittura e il Magistero, ma le opere di S. Tommaso, mentre la dottrina di un autore non va esaminata col metro delle opere di S. Tommaso, o di qualsiasi altro maestro o dottore, ma con quello della Rivelazione.
Fu merito dunque della Commissione Scotista l’aver dimostrato che la teologia scotista e tomista non sono opposte, ma si giustappongono. Entrambe professano chiaramente e fedelmente il dogma cattolico, che poi cercano autonomamente di illustrare con la ragione.
Tommaso e Scoto erano stati messi in opposizione l’uno contro l’altro da tomisti e scotisti, fino a far dire al Caietano che Scoto aveva voluto distruggere «singula prope verba» della prima parte della Somma teologica.
In realtà Duns Scoto non svolse principalmente il suo dialogo e la sua dialettica con S. Tommaso, né con gli altri dottori del tempo passato (che egli peraltro considerava già «antiqui», cioè antiquati), bensì con i suoi contemporanei: Enrico di Gand, Goffredo di Fontaines, Egidio Romano ecc. Dall’apparato critico e dagli Indici della nostra Edizione Vaticana ciò è più che evidente.

7. Il superamento degli ostacoli

Presentata nel 1971 la risposta alle Adnotationes, fu istruita la seconda Positio super scriptis (1971), che si concluse con l’emanazione del Decretum approbationis scriptorum et doctrinae Ioannis Duns Scoti (4 maggio 1972), in cui veniva usata la tradizionale formula: Nihil obstare quominus ad ulteriora procedatur.
Proprio per merito di questa risposta, il sesto Consultore storico nella fase del processo relativa al culto afferma che la presente Causa non è solo il «superamento» di una inveterata e preconcetta posizione antiscotista, ma è anche «un avvenimento per la storia della teologia, motivo di riflessione».
Secondo il quarto Consultore storico, il lavoro della Commissione Scotista si è rivelato «essenziale per poter rispondere alle difficoltà sollevate» contro la Causa.
Nella Positio super cultu il Relatore generale può constatare che «negli scritti di Scoto nessun dogma viene intaccato; nessuna verità comune a tutti i Dottori viene negata; non si trova nessuna sentenza che sia nociva alla fede o pericolosa; non si difende nessun principio dal quale possano derivare cose erronee o false o eretiche; non si propone nessuna tesi che non sia cattolica, o che sia contraria alla sentenza universale degli altri Dottori; non c’è nessuna proposizione che direttamente o indirettamente sia stata colpita da censura. La dottrina di Scoto è una dottrina sana, chiara, comprensibile e vera».
La Causa era sbloccata; poteva tranquillamente proseguire il suo cammino verso il traguardo finale, che è quello a cui oggi siamo giunti: il riconoscimento del culto e la glorificazione ecclesiale di Scoto (20 marzo 1993). Per l’esito di questa ultima fase va dato plauso a tutti coloro che vi hanno lavorato, in primo luogo al P. Roberto Zavalloni.
Possiamo dire che uno dei due moventi che avevano dato origine alla Commissione Scotista è stato felicemente soddisfatto.
L’altro movente, la necessità di dotare gli studiosi di Scoto del suo testo autentico, è tuttora in pieno vigore: la Commissione continua il suo lavoro, ed è augurabile che l’Ordine francescano possa sostenerla con uomini e mezzi adeguati fino al completamento di tutta l’opera.

8. L’edizione Wadding-Vives e la Vaticana

Se vogliamo confrontare la nostra edizione con quella precedente del Wadding-Vivès, noteremo una quantità di elementi che le differenziano e che mettono in evidenza i pregi e la insostituibile importanza della Edizione Vaticana. In essa infatti sono presenti i seguenti elementi, che non c’erano nelle edizioni precedenti:

  • Individuazione esatta delle opere autentiche da quelle non autentiche.
  • Innumerevoli correzioni del testo finora conosciuto.
  • Espurgazione delle numerose interpolazioni.
  • Determinazione certa del testo genuino, senza più la possibilità di dubbi, senza che gli studiosi si debbano prendere più la libertà di mettere in discussione il testo.
  • Rinvenimento e verifica esatta delle citazioni esplicite ed implicite, che sono numerosissime.
  • Verifica e indicazione precisa delle citazioni o dei rimandi interni.
  • Note esplicative – testuali, critiche, storiche – preziosissime
  • Nuova e chiara divisione e suddivisione delle questioni, in base alle risultanze del testo e in base agli intendimenti dell’autore stesso.
  • Precisa divisione e accorpamento delle singole argomentazioni.
  • Numerazione progressiva dei testi per ogni distinzione; il che rende assai pratica, semplice e facile la citazione di essi (libro, distinzione, numero).
  • Elegante veste tipografica.
  • Indici completi delle persone, delle fonti, dei vari autori citati nelle note, dei luoghi paralleli.
  • Introduzioni, Prolegomeni, Annotazioni storico-critiche, assai necessarie per capire la storia del testo e i criteri da noi seguiti per la restituzione del testo genuino.

Con la nostra edizione, cambia finalmente la valutazione da dare alle opere di Scoto. È merito della Commissione Scotista l’aver mostrato che il pensiero genuino e definitivo di Duns Scoto non va attinto nei commentari delle opere dei filosofi antichi (se si eccettua forse la Metafisica), ma bensì nell’Ordinatio (Opus Oxoniense), che costituisce l’ultima espressione del suo pensiero e delle sue convinzioni. Molta importanza riveste anche la Lectura, opera genuina, finora inedita; mentre sono da prendere con circospezione le varie Reportationes, che riflettono sì l’insegnamento parigino del Maestro, ma sono redatte dai discepoli in base ai loro appunti di scuola.
Certo, come l’edizione critica Leonina non ha fatto di S. Tommaso uno Scoto, così sarebbe inutile pensare od aspettare che la nostra edizione trasformi Duns Scoto in S. Tommaso, o lo scotismo in tomismo.
Con la nostra edizione fondamentalmente Scoto non cambia. Ma l’immagine di Scoto è diventata e diventerà sempre più precisa, più certa, più ricca, in molti punti assai diversa da quella che in passato gli studiosi si erano fatta.

(tratto da: Barnaba Hechich, Il contributo della Commissione Scotista, in Via Scoti. Methodologia ad mentem Joannis Duns Scoti, Atti del Congresso Scotistico Internazionale, Roma 9-11 marzo 1993, a cura di Leonardo Sileo, Ed. Antonianum, Roma 1995, pp. 33-47).